Pechino controbatte alla politicizzazione europea riguardo alla violazione dei diritti umani in Xinjiang
A seguito della campagna sanzionatoria contro la Cina da parte dell’UE, del Regno Unito, del Canada e degli Stati Uniti, e delle alimentate controversie a causa delle questioni relative alle violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, martedì 22 marzo, il governo di Pechino ha sanzionato diversi membri del Parlamento europeo, tra cui Reinhard Bütikofer, presidente della delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con la Cina. Cui Hongjian, direttore del Dipartimento di studi europei presso il China Institute of International Studies, ha sottolineato che «le sanzioni occidentali nascondono una politica di “contenimento” nei confronti della Cina finalizzata a destabilizzare gli interessi nazionali del Dragone». La Cina, infatti, sta leggendo le denunce europee come un calcolo politico prettamente diffamatorio: al riguardo, Wang Yiwei, direttore dell’Istituto per gli affari internazionali presso la Renmin University of China, ha suggerito che «le sanzioni hanno dimostrato che l’Unione Europea si sia rivolta al meccanismo legale al fine di espandere ulteriormente le sue influenze globali, mentre la Cina non hai mai intrapreso un conflitto aperto, privilegiando la correttezza politica e una politica di “non interferenza”».
Tuttavia, adesso, la Cina è costretta a difendere i suoi interessi fondamentali appellandosi al Congresso nazionale del popolo, la massima legislatura cinese che si occupa di controbattere alle misure sanzionatorie straniere. Nello specifico, come ha riferito a Xinhua Hua Chunying, portavoce del ministero degli Esteri, «è chiaro che l’intenzione della controparte occidentale è quella di “provocare turbolenze” sulla scena internazionale che prevedono bugie sistemiche sugli affari cinesi, pregiudizi politici, distorsioni e interpretazioni errate dei dati ufficiali cinesi che Pechino non è più disposta a tollerare con condiscendenza». Difatti, «i politici occidentali non sono disposti a vedere il successo dello sviluppo della Cina, quindi interferiscono nei suoi affari interni per mezzo di azioni calunniose volte a danneggiare la reputazione del popolo cinese; di conseguenza, gli Stati Uniti, il Canada, la Gran Bretagna e l’Unione Europea dovranno pagare un prezzo per la loro arroganza, poiché la Cina è fermamente determinata a difendere i suoi interessi e la sua dignità nazionale».
Non a caso, all’interno del contesto di tale battaglia ideologica, mercoledì 24 marzo, la Cina ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani negli Stati Uniti, denunciando il disordine che la “democrazia americana” ha provocato nelle recenti discriminazioni contro le minoranze etniche asiatiche americane. Tuttavia, composto di sette capitoli, il rapporto recupera anche gli attacchi contro gli afroamericani, per esempio la tragica vicenda che ha coinvolto George Floyd, nonché il peggioramento della violenza armata e il divario razziale sempre più evidente nel suolo americano. Inoltre, riguardo alla denuncia della violazione dei diritti umani in Cina, il governo regionale dello Xinjiang ha condannato le sanzioni dell’UE definendole come semplici “manipolazioni ideologiche e geopolitiche”.
Nello specifico, il portavoce del governo regionale, Elijian Anayat, al fine di confutare le accuse di “detenzione di massa”, di genocidio e di lavoro forzato, ha sottolineato che i gruppi etnici dello Xinjiang non hanno mai sofferto alienazioni derivanti dalla perdita dei loro diritti fondamentali e inalienabili. Analogamente, Xu Guixiang, vicedirettore del Dipartimento per la pubblicità del Comitato Xinjiang del Partito Comunista Cinese, ha affermato che «l’UE, e soprattutto gli Stati Uniti, non sono esattamente “qualificati” per dare delle lezioni alla Cina in materia di diritti umani: essi, infatti, dovrebbero riflettere sui propri misfatti prima di criticare ingiustamente».
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