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Amare Roma

Amare Roma – da “La primavera di Pechino”

Giulia Carbone 21 Apr 2020 libri

Oggi ricorre il Natale di Roma. Buon compleanno!

In Italia è scoppiata la pandemia, mentre in Cina la situazione migliora giorno dopo giorno. Quando tutto è iniziato avrei potuto prendere il primo aereo e partire per un posto più sicuro, ma non avevo intenzione di andarmene. Sono attaccata a questa terra da un’attrazione magnetica, i miei passi non possono separarsene. Roma…ogni giorno mi lamentavo di quanto fosse sporca, di quanto fosse poco dinamica, e chi più ne ha più ne metta. Roma…termina con la lettera A, quindi è una parola femminile. Dovrebbe essere una bella ragazza, invece sembra una donna dall’aspetto malconcio, di quelle che nessuno vuole sposare.

Se dicessi che amare Roma non è facile, probabilmente i turisti che vengono a visitarla da ogni parte del mondo resterebbero sorpresi. La realtà è che a prima vista a me Roma è piaciuta molto quando trent’anni fa sono arrivata per la prima volta alla stazione Termini. Era l’ora di pranzo di un giorno pieno di sole e ho notato che i palazzi intorno alla stazione avevano colori pastello: giallo pallido e rosa antico. Colori che non avevo visto sulle facciate dei palazzi di nessun’altra città. Forse per la luce del sole che li spennellava, mi è sembrata una città calda e accogliente.

Poi ho deciso di trasferirmi e stabilirmi qui, sapendo che ci avrei vissuto per molto tempo. Il sole però aveva perso il suo calore e la città mi sembrava sempre più fredda e difficile.

Forse perché non sapevo l’italiano o forse perché i miei vicini non erano così cordiali e soprattutto perché non sapevo nulla della cultura italiana, fatto sta che questa città non esercitava alcuna attrattiva su di me.

In questa città ho cresciuto i miei figli, ho provato a fare ogni genere li lavoro, ho iniziato a entrare in contatto con i cinesi residenti qui. Poi ho fondato il mensile Cina in Italia. Forse per le molte difficoltà che incontravo sul lavoro, non c’erano molte cose che mi rendessero felice. Nei primi anni in cui vivevo qui, Roma la notte mi sembrava terribilmente buia e quando scendeva la sera avvertivo come un senso di oppressione. A Roma non ero felice e pensavo con nostalgia a Pechino e alla città dove avevo studiato, Parigi.

Quando qualcuno mi chiedeva di descrivere Roma rispondo sempre: «Un museo vivente, senza dubbio». E il resto? Non riuscivo a descriverlo.

Nel 2002 sono intervenuta ad una conferenza stampa, in rappresentanza degli stranieri residenti a Roma. In quell’occasione il Comune di Roma ha organizzato una visita gratuita ai Musei Capitolini per gli immigrati, con tanto di guida turistica. L’allora sindaco di Roma Walter Veltroni era seduto accanto a me: ha lodato il mio italiano e mi ha chiesto da quanti anni vivessi a Roma. In realtà avevo imparato a memoria il testo del mio intervento, per questo il mio italiano era stato così fluente. Dopo l’incontro ci hanno offerto un buffet sulla terrazza panoramica sopra il Campidoglio, da cui si poteva ammirare tutto il centro della città: Piazza Venezia a sinistra, il Colosseo sullo sfondo. In quel momento ho sentito all’improvviso che Roma mi era entrata nel cuore. Il solo fatto che il Comune avesse organizzato quella visita gratuita ai musei per i cittadini extracomunitari stava a indicare che questa città spalancava le sue braccia per accoglierli. Lì, su quella terrazza panoramica, ho stretto i pugni e ho giurato a me stessa che ce l’avrei fatta ad avere successo in quella città.

Ho cominciato ad andare avanti e indietro tra Roma e Pechino, a viaggiare in tutta Italia e anche all’estero; ero così indaffarata che non avevo il tempo di fermarmi a riflettere, non mi interessava più capire che razza di città fosse Roma.

Nel 2008 mi sono ammalata di tumore e ho fatto la mia prima esperienza di degente negli ospedali della capitale. Non sapevo se avrei potuto sconfiggere la malattia, non sapevo quanto tempo mi restasse da vivere in questa città e in questo mondo. Ho conosciuto molti medici e infermieri e sono stata a stretto contatto con loro per un anno intero. Le cure sono state stressanti e dolorose, la malattia mi ha fatto riflettere molto sulla vita e sulla morte. Quando sono guarita sono tornata a Pechino.

Mentre ero nella mia città natale pensavo con nostalgia a Roma, ai pini marittimi che fiancheggiano i suoi viali, al cielo azzurro che splende sopra i monumenti antichi; avevo nostalgia persino del frastuono del traffico, con i motorini che sfrecciano tra le macchine. Avevo nostalgia della città, dei suoi sapori e dei suoi suoni. Sì, perché le strade di Roma echeggiano di un suono tutto particolare, la parlata romana. Può piacere o no, ma c’è, ovunque. Echeggia nei vicoli e nelle strade, con la sua calata un po’ dolce e un po’ no.

Era dunque amore? Mi sono resa conto di essermi innamorata di Roma già da un pezzo, solo che non lo sapevo. Quando mi ero innamorata? Non avrei saputo dirlo.

C’è voluta una malattia perché lo capissi. Roma nasconde un milione di trappole, proprio come qualsiasi altra grande città del mondo. Eppure apre le sue braccia possenti per contenere nel suo abbraccio tutti i suoi abitanti, italiani e stranieri, poveri e ricchi. I suoi lampioni illuminano le vie per i suoi abitanti, i suoi autobus custodiscono la loro speranza di tornare a casa, gli spruzzi delle sue mille fontane rinfrescano i loro corpi nell’afa estiva, i raggi del suo sole scaldano i cuori festosi dei cittadini.

Questo mio amore per Roma è sbocciato tardi, ci sono voluti ben vent’anni. Ma una volta che mi sono accorta di essere innamorata, ho capito che è un amore forte e saldo, un amore profondo e senza tentennamenti.

Si dice che Roma sia la città eterna, ma l’eternità non è concessa a noi mortali. Mi auguro che ogni abitante di questa meravigliosa città, politico o semplice cittadino, si assuma le proprie responsabilità nei suoi confronti. E spero di continuare ad amarla, fino all’ultimo dei miei giorni.

La situazione epidemica è ancora grave, Roma è una città deserta, e la sua desolazione è angosciante. Forse non ho voluta abbandonarla perché la amo.

Ora Roma è una città più pulita: questa ragazza si sta mettendo in ordine e chissà, forse quando l’epidemia sarà sparita arriverà persino un bel matrimonio!

Hu Lanbo

Tratto da La Primavera di Pechino – Clicca qui per acquistare la tua copia di La primavera di Pechino

 

爱上罗马

今天是罗马的生日。生日快乐,罗马!

疫情在意大利爆发了,而中国情况一天比一天好,本来我可以坐上飞机离开,到更安全点的地方。

但是,我没做走的打算,就像这土地有了磁性,我的脚步离不开它。

罗马,我天天抱怨她脏,抱怨她没朝气,各种抱怨,我有时就像个怨妇。罗马以A字母结尾,阴性词,本该是个美丽的姑娘,可是就是脏兮兮的,像嫁不出去的女人。

爱上罗马是件不容易的事,我这样说,大概全世界来过罗马的游客都会惊讶。

其实,第一眼见到罗马时,我喜欢它。30年前,我从巴黎坐火车到达Termini火车站。

晌午,阳光耀眼。火车站周边的房子是暖色的,黄的、粉的,世界大部分的城市不用这样的颜色粉刷房子。可能是因为阳光特别好,就觉得这个城市很温暖。

后来,我移民到这个城市。安置到这里,尤其知道要在这里住很久很久, 阳光失去了它的温暖,越来越觉得这个城市冰冷。

因为我不会说意大利语,也因为邻居也不太热情,更因为我不懂得意大利文化。所以,这个城市所有的一切对我都没有吸引力。

在这所城市我开始抚育孩子,开始尝试各种工作,开始接触我的华侨圈。也许,因为工作的困难很多,没有很多事情令我开心。早年,还觉得罗马的夜特别黑暗,到了晚上觉得好压抑。我觉得在罗马生活不开心,留恋我的北京,想念我留学的城市巴黎。

当人们问起我罗马是一座怎样的城市,我说:“一座活的博物馆,没错。”其它呢?说不好。

2002年,我代表全罗马的外国移民在一个新闻发布会上讲话。那次活动是罗马市政府决定对外国移民免费参观市政厅博物馆,并且有讲解员陪同。当时的市长Veltroni坐在我身边,询问我到罗马生活的年头,并且夸赞我的意大利语。其实,那个讲话稿我已经背诵下来,所以才貌似流利。会议后有冷餐,我们到顶层的咖啡馆。站在那里我俯瞰罗马市中心,左边是威尼斯广场,右面是斗兽场。忽然觉得这个城市正在走进我的心扉,本身那场免费参观的文化活动不正是说明这个城市在向我们外国人敞开怀抱?我站在那里握紧拳头:一定要在这个城市成功!

我往返于北京和罗马,往返于罗马与其他城市或者国家,我忙碌得顾不上想罗马到底是怎样一座城市。

2008年,我病了,一场重病让我住进了罗马的医院。当时我不知道我会不会恢复健康,会不会在罗马或者这个世界生活很久。我认识了罗马的医生和护士,和他们密切交往了一年时间。医生与护士给了我最人道的关怀,使我感动。治疗结束后,我回到北京。在家乡的日子,我非常想念罗马,想念那些地中海松,蓝天白云,想念罗马的味道。对了,罗马的街道有一种特别的味道,就像罗马口音,不论你喜欢或者不喜欢,它存在着,弥漫在空气里,有点甜,有点咸。

那是爱情吗?我原来早已爱上罗马,而我自己并不知道。那我是什么时候开始爱上它的?我自己也不清楚。

一场灾难让我懂得,罗马有千种缺陷,像世界上任何一个城市。但是,它以宽阔的臂膀拥抱着每一位它的臣民,不论意大利人还是外国人,不论富人还是穷人。它的每一盏灯照亮市民的道路,它的每一辆公共汽车载着人们回家的希望,它的每滴泉水滋润人们的身体,它的每一缕阳光温暖我们的心房。

这场对罗马的爱来得有点迟,用了我二十年的光景。然而当我知道我在爱她,我明白了,这场爱轰轰烈烈,坚定得不能摇晃,深沉得无法见底。

都说罗马是个永恒的城市,我们的生命无法永恒。眼下疫情还严重,罗马的美变得凄凉,城市的空阔让人心疼。可能因为我心疼她,舍不得离开她。罗马干净多了,这姑娘收拾收拾,疫情过去,说不定会来个盛大的婚礼呢!

胡兰波

选自《北京的春天》,购书请链接到:北京的春天

 

libri 2020-04-21
Giulia Carbone
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Postato da : Giulia Carbone

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