Indice degli argomenti trattati
Tra bellezza e sofferenza
“Chi bello vuole apparire qualche pena deve soffrire” dice il proverbio. Sembra che il binomio bellezza-sofferenza racchiuso in esso abbia trovato un ampio riscontro in molte culture, fin dai tempi remoti.
Da secoli specialmente le donne, accettano docilmente di sottoporsi a trasformazioni e deformazioni corporee che le renderebbero, secondo canoni sociali, migliori di quanto siano già.
Queste mutazioni possono essere sia insignificanti cambiamenti, che serie e compromettenti mutilazioni, riti invasivi imposti e accettati per secoli.
Pensiamo ad esempio ai vertiginosi tacchi a spillo scomodi ma che esaltano l’eleganza femminile; o allo stretto corsetto indossato dalle donne in epoca vittoriana, il quale comprimeva il torace provocando frequenti svenimenti, compromettendo i muscoli della schiena e persino la gravidanza.
Pensiamo poi a vere e proprie mutilazioni e deformazioni corporee ampiamente diffuse in diverse culture. Per esempio gli anelli per allungare il collo indossati dalle donne birmane Kayan; il piatto labiale delle donne Mursi in Etiopia o le numerose mutilazioni genitali che purtroppo sono diffuse tutt’oggi.
Spostandoci a oriente, portiamo l’attenzione sulla Cina dove la popolazione femminile ha sopportato per oltre mille anni la nota usanza della fasciatura dei piedi. Approfondiremo di seguito proprio la storia di quest’ultima condanna socialmente accettata, quella dei cosiddetti Piedi di Loto o Gigli d’Oro.
Per secoli le bambine cinesi sono state costrette a fasciare i propri piedi in bende strettissime che li avrebbero gradualmente deformati, per farli assomigliare, più in teoria che in pratica, a dei fiori di loto. Era un canone di bellezza necessario per tutte coloro che aspiravano a sposarsi e mantenere uno status sociale elevato.
Coloro che non sopportavano gli atroci dolori comportati dalla deformazione del piede, venivano semplicemente escluse. A tali donne ci si rivolgeva con il sarcastico appellativo di piede d’anatra o di elefante.
Origini del piede di loto
L’usanza di fasciare i pedi impedendone la crescita in cinese veniva chiamata 缠足 chanzu (letteralmente fasciare i piedi) e ha origini molto antiche.
Nonostante vi siano svariate leggende sulla sua genesi, la versione più gettonata è quella narrata da Zhang Bangji, chiosatore vissuto nel XII secolo.
Secondo Zhang durante il regno di Li Yu (937-978), ultimo imperatore della dinastia dei Tang meridionali, una danzatrice di corte di nome Yao Niang si fasciava i piedi in strette bende per eseguire la Danza della luna sul fiore del Loto.
In questo modo i suoi piedi assumevano la forma arcuata a mezza luna e le permettevano di fare alcuni passi di danza altrimenti impossibili. L’imperatore vedendola danzare così se ne innamorò per la graziosità da lei emanata.
Da allora la pratica di fasciarsi i piedi in strette bende per farli apparire graziosi e arcuati, si diffuse tra le cortigiane e tra i nobili, che vi sottoponevano le bambine fin dall’età di 2 anni.
In seguito tale usanza si estese anche alla classe contadina, perché una ragazza con i piedi di loto aveva più probabilità di accasarsi con un uomo ricco. Le famiglie più povere però erano solite fasciare i piedi delle figlie intorno al quindicesimo anno d’età, in modo che le ragazze potessero lavorare nei campi il più a lungo possibile.
Processo di fasciatura e deformazione dei piedi
Il procedimento della fasciatura iniziava mettendo i piedi a bagno in acqua calda e massaggiandoli con oli e allume. Dopodiché venivano tagliate le unghie e piegate tutte le dita verso l’interno a parte l’alluce. Poi si fasciavano più strette possibile e ciò provocava dolori atroci.
Venivano quindi fatte indossare le minuscole scarpette di loto. Era normale rimuovere la fasciatura ogni due giorni per impedire che si creassero infezioni e ogni volta che si riavvolgeva veniva stretta sempre di più. Il piede fasciato doveva mantenere una forma arcuata.
Con il passare del tempo, la crescita piede provocava la rottura delle ossa e quindi impediva ne l’allungamento. L’intero processo di deformazione durava minimo 3 anni ma poteva arrivare fino a 10. Alla fine della fase di crescita i piedi avevano una lunghezza dai 7 ai 12 centimetri.
Nel X secolo la pratica era ormai consolidata soprattutto nella classe nobile. Una donna con i piedi di loto era simbolo di ricchezza e prestigio della famiglia, perché significava che non c’era bisogno del suo contributo lavorativo. Infatti la deformazione del piede le negava qualunque tipo di attività che non fosse sedentaria.
I piedi deformati erano causa di dolori lancinanti specialmente durante i primi anni. Con il passare del tempo i nervi perdevano sensibilità e il dolore diminuiva ma il danno inflitto comprometteva la salute fisica di una donna permanentemente. L’incapacità di sorreggersi e di camminare normalmente, creava seri problemi alla circolazione, alla postura e alla schiena.
Piedi piccoli, la chiave d’accesso al matrimonio
Nel libro Cigni Selvatici di Jung Chang, la scrittrice spiega quanto fosse importante per la dignità di una donna e per il prestigio della sua famiglia avere i piedi piccoli:
“A quei tempi quando una donna si sposava, la prima cosa che la famiglia dello sposo faceva era esaminarle i piedi. Si riteneva che i piedi grandi, cioè normali, fossero un disonore per la famiglia dello sposo. La suocera sollevava l’orlo della lunga gonna della sposa e, se i piedi erano lunghi più di una decina di centimetri, lo riabbassava di scatto con un gesto di ostentato disprezzo e si allontanava con sussiego, lasciando la sposa esposta agli sguardi critici degli invitati alle nozze, che le fissavano i piedi e manifestavano il loro disdegno borbottando insulti. A volte una madre aveva pietà della figlia e le toglieva la fascia; ma quando la bambina cresceva e doveva subire il disprezzo della famiglia del marito e la disapprovazione della società, arrivava a rimproverare la madre per la sua eccessiva debolezza.”
Anche Li Cunxin, nella sua biografia “L’ultimo danzatore di Mao”, racconta di come sua madre si fosse ribellata a quell’assurda pratica e a come si sentisse sbagliata il giorno del matrimonio, quando per salire sul cavallo l’avrebbe portata a casa della famiglia dello sposo, doveva sollevare la gonna. Tutti avrebbero notato la grandezza smisurata dei suoi piedi.
Una donna dai piedi di loto era considerata adatta al matrimonio perché aveva interiorizzato valori quali docilità, sopportazione e coraggio.
Il piede di loto inoltre assunse anche una connotazione erotica. Per gli uomini erano segno di bellezza ed eleganza.
Ovviamente il piede in se non veniva mai visto, essendo sempre fasciato e nascosto da eleganti scarpette ricamate. Proprio il mistero che si celava dentro di esse creava fascino e piacere negli uomini.
Per di più la donna con i piedi di loto assumeva un’andatura oscillante e lenta, sinonimo di leggerezza e grazia. La vulnerabilità che trasmetteva avrebbe dovuto far nascere nell’uomo il desiderio di proteggerla.
Perché un’usanza tanto dolorosa sopravvisse per più di 1000 anni?
Alcune interpretazioni sostengono che la fasciatura fosse un modo per le donne di interiorizzare i valori della dottrina filosofica del Confucianesimo attraverso la disciplina del corpo.
Durante la dinastia Song, quando la pratica si consolidò, prese il sopravvento la corrente del Neoconfucianesimo, molto più rigida rispetto alla dottrina tradizionale.
Per le donne il nuovo insegnamento morale rimarcava ulteriormente l’importanza di valori quali la castità, l’obbedienza e la coscienziosità.
Da buona figlia una donna diventava buona moglie e come tale doveva servire fedelmente suo marito. Oltre a ciò non doveva avere alcuna ambizione se non quella di dare alla luce un figlio (meglio se maschio) e nessun interesse se non quello di sacrificare la propria vita per la famiglia. Per finire non avrebbe dovuto risposarsi una volta rimasta vedova.
In un simile scenario sociale la fasciatura dei piedi e la sofferenza da essa provocata, nonché gli impedimenti subiti dalle donne per tutta la vita, diventarono proprio l’incarnazione dei valori neoconfuciani sopracitati.
Una moglie che sopporta con pazienza di trasformare il proprio corpo per il marito ne accetta la sottomissione, consapevole che a causa della ridotta capacità di movimento sarà legata per sempre alla casa e alla famiglia.
Un’altra motivazione da non sottovalutare è che sotto il dominio della dinastia Yuan (1279-1368) i piedi di loto divennero un importante emblema della cultura cinese Han.
Gli Yuan erano di origine mongola e i vari imperatori della dinastia tentarono in ogni modo di bandire questa pratica. I loro sforzi tuttavia si rivelarono vani e anzi incoraggiarono ancor di più le donne cinesi Han a persistere nella pratica della fasciatura che, secondo le credenze dell’epoca, le distingueva dai mongoli rendendole etnicamente superiori.
Declino e scomparsa di un’antica tradizione
Anche se può sembrare strano o addirittura inaccettabile, in una cultura dove lo status sociale e il desiderio di un matrimonio prestigioso erano le maggiori ambizioni femminili, furono le donne stesse a sostenere e perpetuare una tradizione tanto assurda quanto brutale per oltre un millennio.
Solo nel 1911 venne emesso un decreto del governo che proibiva la fasciatura dei piedi. Nonostante ciò, l’usanza permase almeno fino agli anni ’50, specialmente nelle più remote aree rurali.
Ancora oggi è possibile incontrare anziane donne che sono state vittime di questa brutalità. La fotografa Jo Farrell ha avviato il progetto “Living History: Bound Feet women of China”. L’obiettivo è quello di dare voce alle memorie delle ultime donne dai piedi di loto ancora in vita, per testimoniare il loro coraggio e la loro sorprendente resilienza. Al seguente link potrete vedere le sue foto testimonianze: http://photographyofchina.com/blog/jo-farrell.
Solo con la fondazione della RPC nel 1949 la pratica si estinse del tutto. Infatti, essendo secondo Mao Zedong “l’altra metà del cielo”, anche le donne dovevano lavorare alla costruzione della nuova patria.
I piedi di loto da allora vennero considerati usanza aristocratica e perciò severamente condannati. Le donne che avevano subito la deformazione videro la propria vita andare in frantumi e anni di sofferenza volatilizzarsi di fronte a loro.
Nell’articolo “Le ultime cinesi con i piedi di loto – Le nostre vite rubate dai maschi” pubblicato su La Repubblica, leggiamo la testimonianza di Wu Lijing:
“Dopo la rivoluzione ci guardavano con disprezzo. Non potevamo frequentare luoghi pubblici o camminare per strada. La polizia ci strappava le fasce e ci costringeva a cantare inni alla ‘liberazione del piede’”.
Insomma, il destino giocò un brutto scherzo alle donne cinesi, costrette a vivere anni di dolore e impedimenti per essere in principio venerate, poi disprezzate e infine dimenticate.
M.G.