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Storia dei cinesi a Milano, dai primi arrivi ad oggi

Redazione 27 Apr 2019 cinesi a Milano - comunità cinese - Via Paolo Sarpi

di Angelo Ou

Riflessioni di un figlio del primo flusso migratorio arrivato dalla Cina all’Italia negli anni Trenta del secolo scorso

Stimolato da funzionari del Museo di Wenzhou, di passaggio a Milano nel luglio del 2018, ho pensato di trascrivere una breve storia del signor Wu, all’anagrafe italiana Ou Li Siang, nato a Qingtian il 16 maggio 1906, che ha trascorso la sua vita in Italia, dopo esservi immigrato nella città di Milano nel lontano 1935, quando era un giovane coraggioso di 29 anni. Il suo documento di identità rilasciato appena dopo la guerra, nel 1945, porta il numero 86 e aveva la validità di un solo anno: quanta storia è passata da allora.

Offro così il mio piccolo contributo per la lodevole iniziativa di dedicare una parte del museo agli Huaqiao, i cinesi emigrati oltreoceano, con la speranza che i miei ricordi, uniti alle attestazioni storiche, possano tradursi in una sempre più salda e aggiornata memoria non solo per chi l’ha vissuta, ma anche per coloro che, successivamente, si trovano ad “entrare” nei nuovi capitoli della presenza cinese a Milano, in Italia o in qualunque altra parte del mondo, guardando al futuro, ma senza dimenticarne le radici.

Indice degli argomenti trattati

  • Anni Trenta: i primi arrivi
  • I primi matrimoni con donne italiane
  • Anno 1949 : nasce la Repubblica Popolare
  • Anni Cinquanta: la prima scuola di lingua cinese a Milano
  • Anni Sessanta : la lavorazione di pelletteria e borse
  • La lavanderia in via Canonica
  • Il primo ristorante a Milano
  • Anni Ottanta: lo sviluppo socio-economico
  • Le comunità cinesi e le associazioni
  • Il terzo millennio: l’evoluzione
  • Via Paolo Sarpi, un quartiere alla moda
  • I cinesi verso l’integrazione sociale

Anni Trenta: i primi arrivi

Sono un sino-italiano ed il fatto che non mi definisca, come sarebbe più naturale, un italo-cinese vuol solo far intendere quanto radicato è stato il legame di sangue paterno. Sono uno dei figli del cosiddetto “primo flusso migratorio” in Italia, dove cinesi erano esclusivamente i padri i quali, essendo arrivati in Italia non accoppiati, hanno tutti sposato donne italiane, come mia mamma Giulia.

Mio padre dovette imparare, in modo autonomo, la lingua italiana, mentre il dialetto di Qintian difficilmente entrò in famiglia: io, infatti, non ho imparato da loro la lingua cinese. In quel tempo parlare una lingua straniera era inappropriato. Erano gli anni del primo flusso migratorio cinese in Italia: un evento del tutto particolare e diverso da quanto successo nel resto d’Europa, data la graduale ed accattivante emigrazione dallo Zhejiang, provincia orientale costiera della Repubblica Popolare Cinese, il cui capoluogo è la bellissima città di Hangzhou, quella che Marco Polo definì «il paradiso su questa terra».

Intorno agli anni Trenta, un primo sparuto nucleo di immigrati, provenienti da Qingtian come mio padre, si insediò nella via Canonica, una delle più antiche di Milano, allora periferica ed oggi invece nel cuore della City. Questi primi cinesi, giunti a Milano dopo aver transitato e sostato in diversi Paesi europei, diedero avvio a semplici attività di vendita ambulante.

Ben presto però, chi riuscì a mettere insieme un piccolo capitale attivò i primi laboratori, un’artigianale lavorazione di cravatte, poi di piccola pelletteria, sempre nelle adiacenze di quella prima strada, oggi cuore della Chinatown milanese e ben nota in tutta Italia come la Zona Sarpi, dal nome di una delle vie dell’asse portante, appunto la Via Paolo Sarpi che, a quel tempo, non era ancora in auge.

Nei laboratori detenuti dai cinesi più “radicati”, veniva offerta la possibilità di vitto e alloggio a chi si avventurava verso la vendita, ottenendo le merci a credito secondo la regola del pagamento sul venduto: dodici dozzine in comodato, con periodico riassortimento dei disegni e dei colori.

I primi matrimoni con donne italiane

I primi cinesi arrivati in Italia, tutti maschi, si unirono in matrimonio con donne italiane, creando quindi le basi per formare una famiglia e restare in Italia.

Le mogli lavoravano nei laboratori artigianali dei mariti ed i figli, nati da queste unioni, si integrarono perfettamente nella società italiana. È così che la seconda generazione cinese, alla quale io appartengo, crebbe senza approfondire la conoscenza della cultura paterna: nessuno di loro ebbe modo di imparare la lingua cinese, pochi hanno visitato il Paese d’origine paterna, solo alcuni sanno dei lontani parenti rimasti in Cina, pochissimi li hanno incontrati negli anni.

Mi raccontava mia madre Giulia che mio padre Li Siang, Lisander per gli amici milanesi, al fine di poter convolare a giuste nozze con quella che poi sarebbe diventata sua moglie, di salda fede cattolica, dovette studiare per alcuni mesi il catechismo per poter accedere ai sacramenti. Dapprima mio padre fu del tutto restio all’iniziativa, ma poi, visto il sine qua non della mamma, si decise. Il problema fu superato per il tramite dei missionari del Pio Istituto Missioni Estere, in via Monterosa a Milano, dove la lingua cinese era di casa.

Anno 1949 : nasce la Repubblica Popolare

Quando arrivarono i primi cinesi in Italia, non era stata ancora fondata la Repubblica Popolare Cinese, che vide la luce solamente il primo ottobre del 1949 e che l’Italia riconobbe solamente il 6 novembre del 1970.

Dopo i primi anni, il favore delle leggi italiane permise di avviare l’iter per portare in Italia i parenti maschi, fratelli, cugini, nipoti, che andò ad alimentare l’afflusso di nuovi immigrati, rafforzando il nucleo dei cinesi provenienti dal distretto di Qingtian, pur aumentando, nel frattempo, gli arrivi dalla città di Wenzhou.

Anni Cinquanta: la prima scuola di lingua cinese a Milano

Verso la fine degli anni Cinquanta, ci fu un tentativo di avviare una piccola scuola che insegnasse il cinese ai figli degli immigrati, ma dopo una breve parentesi enfatica, fu soppressa a causa della scarsa frequentazione e dei pochi mezzi allora disponibili. L’artefice, il prete cattolico Don Andrea Tsien, divenne poi negli anni successivi un importante prelato in Vaticano, quindi rettore della Furen University a Taipei e, negli anni Ottanta, uno stimato vescovo a Taiwan.

Gli italo-cinesi di quella “prima” seconda generazione si sono completamente integrati nel tessuto sociale e culturale italiano, condividendone storia, tradizioni, abitudini alimentari, istruzione, lingua, lavoro ed anche la religione cattolica.

Anni Sessanta : la lavorazione di pelletteria e borse

Molti erano i laboratori artigianali cinesi che producevano borse e pelletteria in genere; si lavorava dal mattino alla sera, incessantemente, con una breve pausa-pranzo all’interno dello stesso laboratorio.

Molte erano anche le operaie italiane che avevano imparato il mestiere alle dipendenze delle famiglie cinesi. Anch’esse in breve si abituarono alla semplice e sana cucina cinese e così, a mezzogiorno, si liberava il tavolo del “taglio”, si stendevano, come tovaglia, due fogli di carta da pacco e, con il fumante riso bianco, si accompagnavano le gustose pietanze, mangiando insieme, cinesi ed italiani. Tutte le operaie italiane che hanno lavorato con cinesi poi a casa loro hanno perpetuato con i loro familiari l’abitudine del bai fan.

La lavanderia in via Canonica

Come in tutte le storie cinesi che si rispettino, anche a Milano c’era una moderna “lavanderia cinese” dove il signor Ling, un gentiluomo dai modi cortesi, con moglie naturalmente italiana, era un preciso riferimento per il quartiere, lavando e stirando ogni tipo di biancheria, a metà della lunga via Canonica. Immaginate che le lavanderie pubbliche erano allora una vera rarità e quella del garbato signor Ling fu addirittura un’avanguardia, la prima e sino ad oggi l’ultima.

Il primo ristorante a Milano

La maggior parte dei primi cinesi, che andranno a costituire il primo importante gruppo, si insediarono nelle città europee nel corso del primo dopoguerra, al seguito dei “pionieri” che erano invece arrivati prima. A Milano, negli anni Sessanta, dopo oltre un ventennio di radicata presenza cinese, nascono e si sviluppano i primi ristoranti cinesi: nel 1962 ne aprono due a distanza di tre giorni l’uno dall’altro.

Con la diffusione dei ristoranti nacque, come conseguenza, l’esigenza di importare prodotti dalla Cina e, parallelamente, si aprirono i primi negozi alimentari e supermercati cinesi. Inoltre l’arredamento dei nuovi locali richiedeva la manodopera esperta di falegnami, piastrellisti, operai edili ed ecco che incominciarono ad arrivare gli artigiani cinesi, più competitivi e più facilmente indirizzabili verso le necessità dei connazionali committenti.

Il metodico e paziente lavoro dei “pionieri” ha dato corso ad una nuova imprenditoria. I cinesi residenti in Italia, a Milano in particolare, ebbero bisogno di collaboratori e per questo dalla madrepatria cominciarono a “chiamare” in Italia i loro parenti. È in tal modo che a Milano, alla fine degli anni Ottanta, il fenomeno della nuova migrazione cinese si connette al boom della ristorazione.

Oggi a Milano si contano oltre 800 ristoranti, una parte dei quali ha avviato una più redditizia cucina “giapponese”.

Anni Ottanta: lo sviluppo socio-economico

Iniziò in questo modo il processo socio-economico che diede luogo ad un nuovo flusso di espatrio dalla Cina. I residenti, per le loro necessità di collaboratori, misero a disposizione dei nuovi potenziali migranti i capitali necessari per il viaggio in Italia e per ogni necessaria pratica burocratica; i nuovi arrivati trovarono lavoro e collocazione presso gli stessi familiari che li avevano reclutati. Sarà la loro disponibilità lavorativa a permettere loro di ripagare l’investimento iniziale e presto creeranno, a loro volta, nuove attività imprenditoriali.

A migrare in tale periodo furono dapprima i giovani e, novità, di ambedue i sessi, andando a riequilibrare il rapporto tra uomo e donna. Seguirono poi le rimanenti parti del nucleo familiare, favorite in Italia dalle norme di ricongiungimento.

L’immigrazione degli anni Ottanta proviene essenzialmente dallo Zhejiang meridionale, i cinesi immigrati in Italia sono spesso definiti Wenzhouren, ovvero “gente di Wenzhou”, che in Cina serve anche a definire persone dalla spiccata volontà imprenditoriale.

Le comunità cinesi e le associazioni

La comunità cinese si è da tempo diffusa in Italia, anche in altre città: Bologna, Prato, Firenze, Roma, Torino e Padova. Il flusso migratorio è proseguito ininterrotto negli anni Novanta e Duemila, solo ora sembra conoscere un rallentamento. Ma oggi è del tutto legittimo chiedersi: «Com’è cambiata nel tempo la comunità cinese?»

Dal punto di vista sociale, le diverse e storiche associazioni cinesi a Milano, nate sull’onda associativa creata dai primi immigrati, ad un certo punto non furono più in grado di essere rappresentative per tutti, o meglio, non riuscirono a soddisfare le mutate aspirazioni dei cinesi a Milano, che a questo punto si andarono distinguendo per diversa provenienza, per differente attività, per rinnovata tipologia imprenditoriale e, nel tempo, anche per generazione immigrata.

I ragazzi, nati o cresciuti in Italia e con diversa impostazione culturale, hanno scarsa propensione verso una formazione prettamente cinese, mentre danno preferenza a un criterio di vita marcatamente occidentale.

Il terzo millennio: l’evoluzione

Pur rimanendo viva la vocazione verso il lavoro autonomo, caratteristico dei cinesi a Milano, è facilmente intuibile che i tanti giovani cinesi, socializzati e formati nell’ambito delle istituzioni scolastiche italiane, si siano indirizzati e si indirizzeranno in futuro verso nuovi schemi professionali.

Avviato il terzo millennio, nel pieno della crisi mondiale, la comunità cinese di Milano, una Chinatown oggi distribuita in diverse aree della città, al di fuori del classico quadrilatero Canonica, Rosmini, Sarpi, Bramante, vive in un contesto radicalmente cambiato che li vede meno isolati di un tempo, con atteggiamenti spesso del tutto diversi dai primi immigrati.

Il risultato odierno è che oggi convivono diverse realtà cinesi, quali ad esempio: pochissime unità di sparuti superstiti dei nuclei originari; i “sangue misto”, figli dei primi immigrati sposati con donne italiane, non parlano cinese, svolgono attività professionali al di fuori delle tradizioni e solo in rarissimi casi hanno portato avanti le attività dei padri; i nuclei familiari arrivati a Milano negli anni Settanta e Ottanta, costituiti da genitori cinquantenni, figli trentenni e nipoti in età scolare; le famiglie di più recente migrazione, non necessariamente legate alle catene migratorie originarie, con i figli scolarizzati a Milano dopo alcuni anni di scuole elementari in Cina; infine i giovani di terza generazione che, grazie al sacrificio dei loro genitori, possono frequentare l’università, godono di condizioni socio-economiche di elevata tranquillità e saranno i professionisti, dirigenti, businessman di domani.

In questo mix che distingue l’odierna esistenza della comunità cinese di Milano ci si chiede: ha ancora senso parlare di comunità? Forse non più o almeno non allo stesso modo.

Gli eventi sociali, politici ed economici degli ultimi anni, le politiche restrittive sull’immigrazione hanno poi aperto nuovamente il problema degli “stranieri” che affollano l’Italia, con sospetto e curiosità soprattutto verso i cinesi, che in piena crisi economica mondiale sembra però vadano controtendenza, rilevando le attività commerciali degli italiani e aprendone di nuove. Inoltre, sono anche quelli che “spendono”.

Certamente la crisi dei mercati ha reso precari molti posti di lavoro e ha dato una spinta conservatrice alla società in generale, con tendenze protezionistiche verso la popolazione autoctona. Questa è stata sicuramente un’importante molla di “distacco” tra milanesi e cinesi immigrati. Inoltre l’attuale crescita dell’economia cinese, a livello mondiale, va a scalfire antichi e consolidati primati occidentali, che in qualche modo disturbano. A Milano, poi, le due maggiori squadre di calcio, Inter e Milan, sono passate di proprietà ai cinesi.

Via Paolo Sarpi, un quartiere alla moda

Le istituzioni sono cambiate in meglio. In un clima più favorevole per i cinesi, del tutto diverso per le altre etnie presenti in Italia, la comunità cinese potrebbe essere pronta, pur con difficoltà, a riavviare progetti di integrazione e cultura, affidandone la regia ai giovani di terza generazione.

Nel frattempo, la via Paolo Sarpi, con il contributo degli stessi cinesi si è trasformata in un quartiere alla moda, con circolazione a traffico pedonalizzato. Qui, a fianco dei grossisti di abbigliamento, sono nati ristoranti, bar, librerie, negozi di food multietnico, esercizi di vendita al dettaglio, parrucchieri… Tutti i milanesi sanno che se hai uno smartphone rotto, qui trovi una soluzione rapida, economica ed efficace al problema!

È un raro caso dove la storia e l’evoluzione di una comunità trova il suo sviluppo nella stessa zona dove sono state messe le prime radici: il quartiere Canonica-Sarpi, oggi presente sulle mappe di Google come la Chinatown milanese, quartiere alla moda.

I cinesi verso l’integrazione sociale

Ma cosa si può fare per favorire, finalmente, il processo di concreta e positiva integrazione? È sempre più indispensabile un intervento urgente, forte ed efficace, supportato da un progetto pilota, elaborato con le istituzioni, orientato alla “socializzazione” dei cinesi di Milano, riavvicinandoli, come un tempo, alla popolazione autoctona.

Dagli iniziali e sparuti cinquanta cinesi a Milano, oggi la città conta quasi 30mila nuovi cittadini sino-milanesi, oltre 50mila in Lombardia, sugli oltre 280mila che si stimano presenti in Italia. Questi numeri importanti devono far sentire come necessario un rinnovamento delle tradizioni cinesi in Italia che, pur rispettando la cultura dei padri e della madrepatria, possa andare anche verso l’adozione di modelli locali, sia per rispetto della cultura ospitante, che per una necessaria integrazione, pur senza dimenticare le proprie radici.

Nella scrittura cinese, l’Italia ha tre caratteri 意大利 Yi-Da-Li, dove il primo viene scritto con un carattere composto, dove al riparo del tetto di una casa sono ben evidenti il sole e il cuore. In questo straordinario ideogramma sono presenti quasi tutti gli emblemi italiani: la casa, il sole, il cuore.

Oggi, infine, dopo una storia che ha ormai oltre ottant’anni, siamo alla quarta generazione, dove la prima è del tutto scomparsa, ma i wenzhouren sono la comunità straniera più efficiente dal punto di vista commerciale e la Chinatown di Milano è un luogo di attrazione segnalato sulle mappe, dove si unisce l’antico ed il moderno, dove si può assaporare la millenaria cucina imperiale, dove tra le strade si può ancora riconoscere l’ombra del signor Wu.

cinesi a Milano - comunità cinese - Via Paolo Sarpi 2019-04-27
Redazione
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Postato da : Redazione

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